Cia, mercato del peperoncino: "Prodotti italiani stracciati dall’import cinese ed extra UE"

Cia, mercato del peperoncino: "Prodotti italiani stracciati dall’import cinese ed extra UE"
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Riceviamo e pubblichiamo una nota della Cia sul comparto “peperoncino”, con un commento di un socio vivaista, Emanuele Aime di Altavilla Monferrato, specializzato nella produzione di peperoncini.

Grande richiesta dei consumatori ma scarsa produzione nazionale (30% del fabbisogno) che determina la sudditanza da mercati extra-Ue (2mila tonnellate annue da Cina, Egitto, Turchia) e schiaccia il Made in Italy con un prodotto dai bassi standard qualitativi, importato a prezzi stracciati, fino 5 volte meno. È questa, secondo Cia-Agricoltori Italiani, la fotografia del mercato del peperoncino, uno dei simboli gastronomici del nostro Paese, che per svilupparsi e competere ha bisogno di una filiera di qualità superiore, innovativa e integrata.

Il problema maggiore di questa coltivazione è legato a prezzi non concorrenziali rispetto a quelli dei Paesi da cui viene importato. Se in Italia, da 10 kg di peperoncino fresco si ottiene 1 kg di prodotto essiccato, macinato in polvere pura al 100% e commerciabile a 15 euro, l’analogo prodotto dalla Cina ha un costo di soli 3 euro, ed è il risultato di tecniche di raccolta e trasformazione molto grossolane, con le quali la piantina viene interamente triturata – compresi picciolo, foglie, radici -, con pochissime garanzie di qualità e requisiti fitosanitari ben diversi da quelli conformi ai regolamenti europei. La polvere stessa è per sua natura facilmente sofisticabile (si ricordi, in passato, il caso del colorante Sudan) e anche quando il peperoncino viene importato fresco o semi-lavorato da Turchia o Egitto, la sua qualità viene compromessa dall’utilizzo di molti conservanti.

L’elevato costo di produzione del peperoncino in Italia, sia fresco sia trasformato in polvere, è dato, soprattutto, dall’incidenza della manodopera e da procedure di trasformazione altamente professionali, compresi macchinari per l’ozono per una perfetta essiccazione. Secondo Cia, occorre, dunque, una maggiore valorizzazione e tutela del prodotto che, grazie al microclima e alle caratteristiche orografiche del terreno, trova nel nostro Paese l’ambiente ideale per la sua coltivazione. Si verrebbe, così, incontro alla domanda sempre crescente dell’industria alimentare, che produce sughi e salami piccanti, senza dimenticare l’export, con la richiesta per salse e condimenti delle grandi aziende del food

Spiega Emanuele Aime, socio Cia e vivaista ad Altavilla Monferrato specializzato in peperoncini (circa cento varietà): “In Cina non ci sono formulari per i gli anti-parassitari come in Italia, dove abbiamo molte restrizioni, mentre lì i residui sono notevoli. Alcune varietà, come la Filippo Argenti coltivata a Sanremo che diventerà probabilmente la più piccante al mondo, sono molto apprezzate anche da chef famosi per le caratteristiche di aromi e retrogusto. Senza scordare il famoso Diavolicchio calabrese, coltivato a Diamante. La terra, il clima, l’aria fanno la differenza: con questo, i paesi esteri non possono competere con l’Italia”.

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