Coronavirus: ripercussioni su turismo e ristorazione
Un invito alla calma è auspicabile, così come un graduale ritorno alla normalità. Certo l’emergenza Coronavirus, che viaggia nell’aria incurante dei confini e di tutte le polemiche politiche ad esso collegate, preoccupa la popolazione, sballottata psicologicamente (quando non si trovi a dover affrontare anche fisicamente il Covid19) tra un balletto di dati che vede dividersi pure il mondo dei virologi nelle modalità e tempistiche di comunicazione.
Intanto, mentre la medicina opera senza sosta e all’ospedale Sacco di Milano è stato isolato il ceppo italiano del Coronavirus, nella tutto sommato non lontana Londra si sceglie la normalità.
La parola d’ordine è “precauzione”, ma la vita proseguirà come sempre – ha specificato il governo inglese -, affidandosi alla collaborazione con i singoli individui. Solo alla fine della corsa – viene da pensare – si potrà dire quanto i britannici (che contarono 10.000 vittime da influenza nelle stagioni più virulente, come quella del 2008-2009) saranno stati rispettosi delle regole di buonsenso internazionale.
L’unica certezza, al momento, nei confronti di un rischio contagio da parte di questo agente patogeno che di fatto si conosce ancora troppo poco, è che ha letteralmente affondato le Borse e con esse l’economia del Paese Italia. Le ripercussioni, in tal senso, sono state immediate e stratificate, con il mondo delle imprese che in Piemonte conta i danni legati ad eventi annullati e commesse perse, personale obbligato in alcuni casi a stare in quarantena o a lavorare, quando possibile, attraverso lo strumento dello smart working.
L’immagine dell’Italia è poi fortemente provata da una paura spropositata nei confronti di chi ha attuato – a questo punto forse troppo meticolosamente – misure per cercare il Coronavirus e ora si trova a vestire i panni dell’untore.
Milano ha riaperto il Duomo, ma continuano a fioccare le disdette nelle città d’arte così come negli agriturismo più isolati. La gente è diffidente, il viaggiatore si muove ancora ma oggi non sceglie il nostro Paese come meta privilegiata. Le cancellazioni e la richiesta di modifica delle clausole in caso di annullamento delle prenotazioni preoccupano gli operatori anche nella stagione a lungo termine: si teme che l’effetto Coronavirus possa influire sulla psiche di chi, memore di quanto sta accadendo in questi giorni, non sia più così dell’idea di concedersi un po’ di relax estivo in Italia. Gli albergatori parlano di disastro e i grandi numeri nazionali si ripercuotono sulla quotidianità di ogni cittadino. Ci sono bar e ristoranti che, a causa dell’ordinanza del ministero della Salute, hanno i locali semivuoti con spese di gestione che scoraggiano quando non portano alla disperazione.
Gli incassi già magri di alcuni locali hanno portato alcuni esercenti a valutare la chiusura forzata per ferie. "A Milano è andata anche peggio – commentano alcuni baristi di Alessandria – ma non capiamo come questa scure si sia abbattuta sulle nostre attività e sui ristoranti, mentre i supermercati sono rimasti regolarmente aperti". E se nella Chinatown di Milano, gli imprenditori cinesi hanno decidono spontaneamente di chiudere ogni loro attività in modo consapevole e responsabile pur non essendoci nessun obbligo imposto, la stessa fotografia si ripresenta in altre città che, pur lontane dalle zone rosse, si ritrovano forzatamente molto meno affollate. Intanto gli esercenti continuano a guardare l’ora, in attesa di una svolta che dia loro l’opportunità di tornare ad avere al loro bancone o a tavola i clienti di sempre.