Detenuto si suicida nel carcere di Biella, Sappe: "La politica deve intervenire"
Il Sappe ribadisce il proprio appello allo Stato ad intervenire per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane
Un altra tragedia in un carcere piemontese: a Biella un detenuto si è tolto la vita impiccandosi alla finestra della sua cella.
La tragedia nel carcere di Biella
Un altro suicidio all'interno di un carcere piemontese. Nella notte, intorno all'una nella casa Circondariale di Biella, durante un ordinario passaggio di controllo il personale di Polizia di sorveglianza ha rinvenuto un detenuto di origine rumena impiccato alla finestra della sua cella.
“Immediatamente sono scattati i soccorsi nel disperato tentativo di salvargli la vita, ma a nulla sono valsi gli sforzi profusi. - spiega Vicente Santilli, segretario per il Piemonte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - Per quanto si è potuto apprendere, si tratta di un soggetto ristretto da un paio di anni circa, che non è mai stato protagonista di intemperanze ed ha sempre osservato diligentemente le regole penitenziarie. Pertanto, nulla poteva far presagire una condotta autolesiva da parte sua”.
Il sindacalista evidenzia che “episodi simili, in un certo modo, portano con se il fallimento del sistema penitenziario, talvolta incapace di intercettare il disagio dei più fragili che vedono nell’estremo gesto l’unica via d’uscita. Siamo costernati ed affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea”.
L'appello del Sappe
Per il Segretario Generale Donato Capece, si rendono sempre più necessari gli invocati interventi urgenti suggeriti dal SAPPE per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane: “Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della 'messa alla prova'; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”.
"Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti" - aggiunge Capece.